di GIANNI TROVATI (da Il Sole 24 Ore)
Per affrontare il viaggio nella poderosa Relazione annuale sui servizi pubblici presentata dal Cnel può essere utile partire dalla sanità. Perché il suo caso è «emblematico», come sottolinea la stessa relazione, e si presta in modo efficace alla chiave di lettura scelta dal Consiglio guidato dall’ex ministro per la PA Renato Brunetta: un’analisi che guarda ai dati delle risorse umane e finanziarie a disposizione, non trascura l’esame degli aspetti ordinamentali e procedurali che guidano oppure ostacolano l’attività, ma si concentra su un obiettivo finale preciso: osservare l’impatto reale dei servizi pubblici sulla qualità della vita dei cittadini e sulla crescita del Paese. Tema di attualità strettissima alla vigilia di una Manovra che deve frenare drasticamente la crescita della spesa pubblica, e che sta in questi giorni alimentando tensioni nello stesso Governo intorno a una spending discussa per ora in termini esclusivamente aritmetici.
La sanità, allora. Qui l’affanno di un consolidato della PA gravato da una mole di debito e interessi fuori misura nel confronto europeo determina conseguenze evidenti. La spesa sanitaria pubblica, anche se in ripresa a partire dalla pandemia, resta fra le più basse d’Europa non solo in rapporto al Pil, ma anche sul totale dello sforzo finanziario collettivo destinato alle cure. Nonostante l’enfasi sull’eccellenza italiana del servizio pubblico universale, infatti, il bilancio pubblico fatica anche a tenere il passo dell’inflazione (la copertura effettiva ha perso 3 miliardi in termini reali nell’ultimo triennio) e copre ormai solo il 75,6% della spesa, mentre quella privata dei cittadini è cresciuta del 5% solo nell’ultimo anno, «a fronte di liste di attesa per l’accesso ai servizi spesso insostenibili e contrarie al principio dell’appropriatezza». Naturalmente a pagarsi le cure è chi è ha un’assicurazione collettiva o individuale, strumenti che però coprono solo il 10,6% delle spese sanitarie dei cittadini (al Sud il dato crolla al 2,6%), o più spesso è chi può permetterselo. Con il risultato che il 7,6% della popolazione rinuncia alle cure necessarie per problemi economici e organizzativi e l’1,6% delle famiglie italiane è schiacciato nell’impoverimento determinato da cause legate alla salute.
Ecco spiegate in termini pratici quelle «interconnessioni tra salute, benessere, ambiente, economia e mondo delle istituzioni» enfatizzate dalla relazione ma spesso dimenticate nell’azione reale di politica e amministrazione, come confermano quel ritardo nel filone sanitario del PNRR che, ricorda il Cnel, «compromette, a detta dei principali osservatori, il raggiungimento di molti degli obiettivi alla base del Piano, ma anche di molti degli obiettivi dell’Agenda Onu» 2030 con i suoi 17 target di sviluppo sostenibile assunti a criterio guida dell’indagine della relazione.
Inutile cercare in questo o quel decreto, in questa o quella contingenza la causa delle questioni sollevate dalla relazione, che sono strutturali e hanno bisogno di tempo per evolvere anche quando, come accade su molti temi, il lavoro per cambiare passo è già cominciato. «Ci sono più luci che ombre, ma dobbiamo saper ascoltare questa foresta multifunzionale – riassume il presidente del Cnel, Renato Brunetta -. Serve trasparenza, perché come disse Lord Kelvin ciò che non si misura non può essere migliorato». E ad essere misurato, in modo diverso dall’attuale, è prima di tutto il contributo dei dipendenti pubblici, come ha ribadito il ministro per la Pa Paolo Zangrillo spiegando di puntare a presentare «a breve» la riforma di carriere e valutazione perché il sistema attuale fondato sui concorsi «incentiva le persone a studiare più che a raggiungere gli obiettivi e disincentiva la funzione di guida dei dirigenti». È un sistema che non va abolito ma «mediato”, precisa Zangrillo, introducendo dosi non omeopatiche di valutazione “umana”, e quindi discrezionale, da parte dei dirigenti.
Tra i motori rimessi in moto c’è la formazione del personale, che rispetto al 2020 vede un incremento del 50,7% nelle attività e del 41,9% nella partecipazione, con quasi 7mila corsi sulla piattaforma Syllabus e 247.914 dipendenti pubblici in formazione su quel canale. E c’è la contrattazione, che sta faticosamente cercando di superare i ritardi accumulati con i blocchi del passato. Ma i nodi strutturali sono complicati da sciogliere. Ed è difficile da archiviare la PA degli incroci paradossali fra costi e servizi, come quello dei rifiuti che ha tariffe maggiori dove i risultati sono inferiori, o quello del welfare locale che ha meno risorse nei territori dove la marginalità sociale è più intensa. Qui per cambiare strada servono scelte politiche spesso complesse. La «trasparenza» e la «voce agli utenti», di cui il Cnel si fa portabandiera, sono un inizio. Indispensabile ma, da solo, non sufficiente.
* Articolo integrale pubblicato su Il Sole 24 Ore del 15 ottobre 2024 (In collaborazione con Mimesi s.r.l)
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