È possibile invocare per gli interventi edilizi negli agriturismi l’art. 17, comma 3, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), rubricato “Riduzione o esonero dal contributo di costruzione”, secondo cui il contributo di costruzione di cui all’art. 16 non è dovuto, tra l’altro, “a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153”?
Non vi è dubbio che l’attività agrituristica abbia una precisa finalità di imprenditorialità aggiuntiva rispetto a quella agricola tradizionale: ciò significa che, ad una prima valutazione, si potrebbe affermare che è difficile conciliare una norma agevolatrice quale quella in discorso (peraltro di stretta interpretazione), pensata per venir incontro alle esigenze prettamente agricole e familiari dell’imprenditore agricolo, con interventi che aumentano il carico urbanistico, quali quelli che destinano una parte dell’immobile agricolo a favore della maggiore ricettività turistica. Basti pensare, ad esempio, che le opere di urbanizzazione necessarie e sufficienti per una casa colonica occupata da cinque persone non possono certo considerarsi ottimali nel caso in cui una parte dell’immobile venga sottratto alla sua precedente funzione e destinato alla creazione di camere a disposizione dei clienti che soggiornano presso l’agriturismo.
Consiglio di Stato sull’esonero dal contributo di costruzione
Nonostante le precedenti considerazioni, di recente il Consiglio di Stato, Sez. II, nella sent. 13 gennaio 2022, n. 235, si è espresso in senso positivo all’applicazione dell’esonero in discorso, alla luce dello sviluppo e della portata multifattoriale dell’imprenditoria agricola che, nel corso degli anni, è testimoniato dall’evoluzione della normativa in materia di agriturismo.
È facile evidenziare che, originariamente, la Legge 5 dicembre 1985, n. 730, recante “Disciplina dell’agriturismo” ed oggi abrogata dalla legge quadro 20 febbraio 2006, n. 96, prevedeva che “Possono essere utilizzati per attività agrituristiche i locali siti nell’abitazione dell’imprenditore agricolo ubicata nel fondo, nonché gli edifici o parte di essi esistenti nel fondo e non più necessari alla conduzione dello stesso” (art. 3, comma 1). La norma si presta(va) ad una duplice interpretazione:
– da una parte, consentiva l’utilizzo, per attività agrituristiche, sia dell’abitazione dell’imprenditore agricolo sia di edifici già esistenti e non più necessari per la conduzione del fondo;
– dall’altra, non esplicitava alcun riferimento alla gratuità della concessione gratuita “per le opere da realizzare nelle zone agricole ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153”, prevista dall’art. 9 della Legge 28 gennaio 1977, n. 10”.
Successivamente, il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, rubricato «Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57», pone un tassello fondamentale:
– da un lato, considera attività agricole connesse a quelle tradizionali di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento anche quelle di «commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità»: è evidente che le attività di ricezione ed ospitalità sono tipiche di un agriturismo (come peraltro espressamente indicato nell’art. 3 della citata Legge quadro n. 96/2006, secondo cui “Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali”);
– dall’altro ha espressamente previso che “Alle opere ed ai fabbricati destinati ad attività agrituristiche si applicano le disposizioni di cui all’articolo 9, lettera a) ed all’articolo 10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nonché di cui all’articolo 24, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativamente all’utilizzo di opere provvisionali per l’accessibilità ed il superamento delle barriere architettoniche” (art. 3).
Esonero dal contributo di costruzione e gli interventi riguardanti gli immobili oggetto di attività agrituristica
Ecco realizzato, quindi, l’anello di congiunzione normativa tra l’esonero dal contributo di costruzione e gli interventi riguardanti gli immobili oggetto di attività agrituristica: infatti, l’art. 9, lett. a) della Legge 28 gennaio 1977, n 10, è stato trasfuso, con l’abrogazione di tale ultima legge (ad opera del Testo Unico Edilizia), nell’art. 17, comma 3, lett. a), del Testo Unico Edilizia; come affermato dal Consiglio di Stato, “In sintesi, dunque, nel passaggio dal T.u.e. del 2001 alla riforma dell’agriturismo del 2006 per il tramite del d.lgs. n. 228 del 2001, si ha che l’agriturismo diviene normativamente uno dei possibili modi di pratica agricola, destinato a fruire dei medesimi benefici riservati alla stessa, purché si mantenga con essa in rapporto di correlazione, senza sopravanzarne l’esercizio nelle sue forme tradizionali”.
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