I giudici amministrativi ribadiscono il divieto di disciplinare il gioco lecito attraverso ordinanza

2 Luglio 2012
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Anche se la questione sta chiaramente oltrepassando i confini della sfera individuale di pochi sfortunati soggetti diventando elemento diffuso nella collettività, per le amministrazioni comunali italiane tentare di limitare gli effetti sulla popolazione provocati dalle apparecchiature destinate al gioco, sia pure formalmente lecito, continua ad essere una strada assai impervia da percorrere.
Suscita questa riflessione la vicenda esaminata dal competente tribunale amministrativo(1), dell’ordinanza adottata dal sindaco di Bastia Umbra in data 8 novembre 2011. Il provvedimento tratteggiava un contesto di allarme sociale provocato nel territorio comunale dalla diffusione del fenomeno del gioco, quello d’azzardo ma anche quello lecito, proponendosi di arginarlo attraverso la limitazione alla fruibilità oraria degli apparecchi da gioco collocati all’interno degli esercizi commerciali o pubblici, nelle aree aperte al pubblico, nei circoli privati oppure all’interno delle sale giochi.
Il ricorso era stato presentato dalla società concessionaria del servizio pubblico di conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito.
La disciplina contenuta nel provvedimento fissava la fascia oraria massima di apertura delle sale giochi, anche con annesse attività secondarie di somministrazione, tra le ore 10.00 e le ore 23.00, un numero di ore che non può essere considerato oggettivamente trascurabile. Inoltre, per quanto riguarda gli apparecchi da intrattenimento con vincite in danaro di cui all’articolo 110 comma 6, del t.u.l.p.s., posti all’interno delle sale giochi o di esercizi commerciali o nella aree aperte al pubblico ovvero nei circoli privati, veniva limitato l’orario di funzionamento alla fascia oraria fra le ore 13.00 e le ore 23.00, anche se le attività principali osservavano un orario più ampio.
Il comune, in realtà, aveva sostenuto che il fondamento del provvedimento andasse ravvisato nella disposizione contenuta nell’articolo 50, comma 7, del t.u.e.l., vale a dire la norma che consente al sindaco di “coordinare e riorganizzare” gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, ambito nel quale rientrano anche le attività di intrattenimento espletate all’interno delle sale giochi. Non si trattava, dunque, secondo l’amministrazione, di un provvedimento classificabile secondo tra quelli contingibili ed urgenti.
Il collegio non è stato di questo avviso. Il richiamo, contenuto nel provvedimento, alla “tutela della popolazione, soprattutto giovanile” con riferimento al fenomeno dell’abuso di utilizzo dei giochi leciti, il contesto di allarme sociale prefigurato connesso al gioco lecito e d’azzardo, il tentativo di arginare i problemi insorti tra la popolazione limitando la fruibilità degli apparecchi, inducono i giudici a ritenere, sotto il profilo della corretta collocazione del provvedimento sindacale, che “seppure in assenza dei presupposti legittimanti”, non essendo stati evidenziati i “gravi pericoli”, il provvedimento è espressivo di un’esigenza di “sicurezza urbana” e per la tutela di tale interesse pubblico è stato adottato. E sotto questo profilo viene esaminato dai giudici, anche se la sottolineatura dalla mancata individuazione dei “gravi motivi” necessari ai fini dell’articolo 54, comma 4, del t.u.e.l., contiene in sé anche la conclusione della vicenda processuale.
Tra le affermazioni riscontrabili nella pronuncia, pare significativo riportare che, a detta dei giudici, dal momento che il provvedimento si riferisce agli apparecchi idonei per il gioco lecito, i quali, a termini dell’articolo 110, comma 6, del t.u.l.p.s., si caratterizzano per un costo della partita non superiore ad un euro e, di conseguenza, non possono interessare l’area della ludopatia se non in casi marginali, siccome tale patologia “è collegata al gioco d’azzardo”. In questa ottica, l’esistenza della patologia verrebbe ad essere delimitata dall’entità della posta del gioco.
Veniamo agli aspetti di rilievo giuridico della sentenza. Per quanto riguarda l’eventuale classificazione dell’ordinanza sotto l’egida dell’articolo 54, comma 4, del t.u.e.l., intervento limitato, dopo la pronuncia di parziale illegittimità emessa dalla Corte costituzionale (2), a quello di provvedimento contingibile ed urgente, il contenuto motivazionale del medesimo non viene giudicato, come si anticipava, sufficiente a rappresentare una situazione particolarmente problematica che evidenzi i gravi pericoli da prevenire ovvero eliminare, in modo tale da giustificare il ricorso al potere extra ordinem.
In ogni caso, prosegue il collegio, la riscontrata diffusione degli apparecchi da gioco lecito non costituisce, di per sé, una ragione sufficiente per intervenire al di là dell’ordinaria distribuzione delle competenze. Né, tantomeno, consente di disciplinare gli orari degli esercizi commerciali derogando al procedimento ordinario previsto dalla legge. Quelle appena riportate costituiscono affermazioni riscontrabili in una precedente sentenza (3) emessa in materia analoga. Quest’ultima aveva ad oggetto due ordinanze assimilabili, anche se maggiormente organiche rispetto a quelle di Bastia Umbra, adottate dal Sindaco di Forio. Nel caso, facendo esplicito riferimento ai poteri contenuti nell’articolo 54 del t.u.e.l., preso atto dell’allarme sociale che si era creato e del pericolo di degenerazione patologica di certe modalità di gioco che utilizzano sistemi elettronici, veniva introdotta, “data la delicatezza” e la “contingibilità del fenomeno” del gioco sia pure lecito, un’articolata disciplina dello stesso, fissando una serie di regole e di divieti in materia. Definendo, oltretutto, specifiche sanzioni pecuniarie applicabili alle violazioni commesse.
Oltre che a proposito della motivazione, l’ordinanza del Comune di Bastia Umbra viene criticata anche dal punto di vista sostanziale, in quanto l’articolo 50, comma 7, del t.u.e.l., degli orari degli esercizi commerciali e dei servizi pubblici, attribuisce al sindaco una competenza in ordine al “coordinamento e riorganizzazione” dei medesimi, oltretutto sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione. Requisiti che, nel caso specifico, non risultano essere stati osservati.
A parziale consolazione dell’amministrazione comunale, va ricordato che, a differenza di analoghe vicende del quale si sono occupate le cronache (4) , il tribunale amministrativo ha respinto la domanda risarcitoria presentata dalla ricorrente. Quest’ultima, infatti, si è limitata ad evidenziare una contrazione del fatturato, in relazione ai mesi di novembre e dicembre, ammontante a circa 170.000,00 euro, senza fornire adeguata documentazione a sostegno di tale richiesta.
Al di là della possibile insufficiente motivazione dell’ordinanza in questione e del conseguente contenuto della sentenza, il problema del gioco e delle sue patologie si sta evidentemente aggravando, come è abbastanza facile riscontrare. Anzi, il periodo di crisi economica esercita probabilmente un effetto perverso di incentivo al gioco anche rispetto a chi non è vi è normalmente dedito. E’ pertanto evidente che un’amministrazione comunale minimamente attenta ai problemi del proprio territorio, mentre lo stato, formalmente competente in materia, è troppo impegnato nelle “liberalizzazioni” e nel fare cassa per occuparsi seriamente della questione, non possa rimanere indifferente al fenomeno. Precluderle, a colpi di sentenze del giudice amministrativo, qualsiasi possibilità di intervenire in materia, an che soltanto per limitarne le conseguenze, rischia di diventare un atteggiamento pilatesco.
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(1) T.A.R. Umbria, 20 aprile 2012, n. 121.
(2) Corte cost., 7 aprile 2011, n. 115.
(3) T.A.R. Campania, Napoli Sez. III, 15 febbraio 2011, n. 952.
(4) Si ricordi il caso del Comune di Verbania, al quale è stato chiesto un risarcimento milionario per aver adottato, nell’anno 2005, un’ordinanza, giudicata illegittima dai giudici amministrativi, che vietava l’apertura delle slot machines prima delle ore 15. Si veda T.A.R. Piemonte, Torino Sez. II, 20 maggio 2011, n. 513.

E. Desii

Fonte: Polnews

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