Tali aspetti, talvolta legati anche alla crisi socio economica internazionale che ha percorso il mondo occidentale dal 2009 al 2013, hanno decisamente cambiato il sistema di vita sociale, la convivenza ed anche la maniera di gustare la buona cucina, soprattutto quella tradizionale.Non sempre, però, i regimi autorizzatori sono stati al passo con l’evoluzione sociale e culturale della “home food”; anzi, spesso, i nuovi locali erano semi clandestini e alternativi al sistema rigoroso di permessi che caratterizza la ristorazione.
Anche in Italia si sono sviluppate queste nuove forme di somministrazione, accolte favorevolmente dai consumatori soprattutto nelle grandi città; ed anche in questo paese il legislatore non è riuscito a emanare una nuova legge in materia, lasciando spazio a tali attività senza regole e punti di riferimento, rendendo complici anche gli operatori addetti alle verifiche.
Spesso si è ritenuto che potessero essere considerate attività libere, in quanto esercitate in modo saltuario ed occasionale, in altri casi sono state applicate le norme sulla somministrazione non più attuali; forme nuove in leggi vecchie che non rispondono più alle mutate esigenze sociali.
La somministrazione, purtroppo, è ancora legata a norme, in parte, del Tulps (1), risalente al 1931, ed in parte della legge 287 (2) del 1991, come modificata dal d.lgs. 59/2010 (3).
Le nuove frontiere della ristorazione
Dal 2004 si sono sviluppate prima in America e, a seguire, in Europa nuove modalità di apertura di esercizi di ristorazione: le “case cubane”, i “guerrilla restaurant”, i “supper club”, i “temporary restaurant”, gli “home food” ed infine gli “home restaurant” ed i “social eating”.
Nomi diversi ma con una linea costante: ristorazione in locali dismessi o appartamenti privati, limitata a poche persone, effettuata in modo occasionale, alla scoperta della cucina tradizionale, con nuove forme di socializzazione.
Da alcuni è stato percepito anche come un fenomeno sociale che fa riferimento ad una cultura culinaria, con la riscoperta di piatti tradizionali del luogo e di prodotti freschi e naturali. Non secondario è anche l’aspetto umano e sociale determinato dalla condivisione della cena con persone sconosciute, richiamate dai social network che diffondono l’evento e le modalità.
Guerrilla restaurant, Supper club e Temporary restaurant
San Francisco nel 2004 e poi New York nel 2006, con successiva diffusione in tutta l’America attraverso il passaparola, hanno visto la nascita dei “guerrilla restaurant”, ovvero la tendenza ad aprire in strutture di periferia come fabbriche dimesse, vecchi bar e ristoranti chiusi, locali destinati alla ristorazione, di durata provvisoria, un mese, una settimana e, talora, anche una sola notte. Forme di ristorazione al limite della illegalità, senza regole, definite anche “underground”, talvolta legate ad eventi culturali ed artistici, ma non legittimamente autorizzati.
Chef “stellati”, licenziati dai grandi ristoranti di Londra e New York a seguito della crisi economica di quegli anni, vengono chiamati a preparare le cene a costi bassissimi, fornendo buoni prodotti dando vita, talvolta, a serate alternative con dibattiti, eventi letterari, spettacoli musicali, concerti, coniugando cultura e buona tavola. Mentre i primi guerrilla restaurant venivano aperti in locali quasi clandestini, i “supper club” si sviluppavano in case private che, per una sera, si trasformavano in ristoranti occasionali ed improvvisati, mettendo la propria cucina a disposizione di chef esterni, appositamente chiamati per quella cena, o degli stessi padroni di casa che si dilettavano in cucina, per la preparazione di cene con prodotti locali e ricette tradizionali.
I clienti, di solito, sono del tutto sconosciuti, spesso sono turisti o privati che attraverso le piattaforme social scelgono quel menù proposto e decidono di partecipare alla serata.Peraltro, per alcune cene, non viene stabilito neanche il prezzo, lasciando agli ospiti l’onere di lasciare un “donazione” (talvolta ispirata) o addirittura al semplice rispetto della regola del “BYOB: bring your own bottle”, porta la tua bottiglia; formula che prevede che sia il cliente a portare la sua bottiglia di vino, magari anche di pregio, da bere in compagnia degli altri ospiti.Di contro, i “temporary restaurant” venivano avviati in locali originali, ricercati, con cucina di qualità.
Erano così definiti, perché operavano per brevi periodi come i “temporary store”, con cene evento, preparate da “Top Chef”, spinti solo dalla passione per la buona cucina.
Attraverso i social network più diffusi veniva diffusa la notizia della cena, riservata a poche persone, il luogo di incontro e gli orari, e sullo stesso network si ricevevano le prenotazioni.
Anche in Europa, e soprattutto a Londra e a Parigi, si estese la moda del ristorante a tempo, meno clandestino e più raffinato, con una relazione sempre più stretta tra l’arte della cucina raffinata e il mondo della cultura, delle sfilate di moda e delle gallerie d’arte, utilizzando anche case di pregio o ville storiche. In Italia il fenomeno dei “supper club” inizia a diffondersi verso la fine del decennio trascorso, a Milano, Roma e, da ultimo, anche a Palermo e in diverse località della Sicilia.
Case private trasformate in ristoranti, cene semi clandestine, non dichiarate come attività commerciali, senza alcuna autorizzazione ne rilascio di scontrini o altre ricevute per il prezzo pagato.I menù, riservati a pochi invitati, sono, di solito, legati ai prodotti del territorio, con riscoperta della cucina classica tradizionale. Pure in questo caso gli eventi gastronomici sono diffusi con il passaparola e attraverso i social network, sui quali viene indicata la località ove è previsto l’incontro culinario ed il menù programmato.
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1) Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”; in G.U. n. 146 del 26.6.1931.
2) Legge 25 agosto 1991, n. 287, recante “Aggiornamento della normativa sull’insediamento e sull’attività dei pubblici esercizi”; in G.U. n. 206 del 3.9.1991.
3) Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”; in G.U. n. 94 del 23.4.2010 – S.O. n. 75.
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