di DANIELE CIRIOLI (da Italia Oggi Sette) L’indennità sostitutiva per le ferie non godute ha natura retributiva. Pertanto, va assoggettata all’ordinaria contribuzione e, inoltre, il suo diritto si prescrive in cinque anni (non in dieci). È quanto si desume dall’ordinanza n. 9009 del 4 aprile scorso della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto natura retributiva all’indennità sostitutiva per le ferie non godute decidendo, nel merito, sulla possibilità di considerare tale indennità anche ai fini del calcolo della buonuscita spettante ai dipendenti pubblici. La vicenda. L’intervento della Corte di cassazione è stato promosso dall’INPS, perché condannato in primo e secondo grado (tribunale e corte di appello) a dover ricalcolare l’indennità di buonuscita di un dipendente pubblico, al fine d’inserire nel calcolo anche l’indennità sostitutiva per le ferie non godute. L’ente previdenziale, invece, l’aveva esclusa sulla base dell’assunto che la base da tener conto per la determinazione della buonuscita (nella specie: trattamento di fine servizio, Tfs) contemplerebbe solo gli assegni e indennità utili ai fini della pensione. Vale la pena ricordare che il Tfs, dal 1° gennaio 2001 (per il personale assunto da tale data), ha ceduto il posto al Tfr, il trattamento di fine rapporto lavoro, operativo per i lavoratori dipendenti nel settore privato. La differenza tra i due trattamenti sta proprio nelle modalità di calcolo, spiega la cassazione: il Tfs (come le altre indennità ricomprese sotto il nome buonuscita) ha carattere previdenziale, alla cui costituzione (diritto e misura) contribuiscono sia il datore di lavoro e sia il lavoratore versando contributi; il Tfr, invece, ha carattere di salario differito: è l’accantonamento di una quota di salario, rivalutato ed erogato alla cessazione del rapporto di lavoro. Al di là del caso specifico trattato dalla sentenza, è interessante il principio affermato: l’indennità sostitutiva per le ferie non godute ha natura retributiva. Vediamo. Le ferie. Il diritto alle ferie dei lavoratori è assistito da una tutela rigorosissima, di rilievo addirittura costituzionale. L’art. 36 stabilisce che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi”. Proprio perché “irrinunciabile”, ogni patto contrario è nullo. La legge fissa la durata minima, inderogabile, delle ferie: 4 settimane per un anno di servizio, c.d. minimo legale (28 giorni di calendario, qualora la fruizione sia consecutiva). Ai contratti collettivi (nazionali, territoriali, aziendali) è data facoltà di fissare una durata minima superiore ma mai inferiore, nonché i criteri di calcolo dei giorni (di calendario o lavorativi) e le regole sulla maturazione. Pertanto, possono essere individuati due differenti periodi di ferie: – quattro settimane, il c.d. minimo legale; – eccedenza rispetto alle quattro settimane, eventualmente previsto dai CCNL o dal contratto di assunzione. La fruizione. Per quanto riguarda la fruizione delle ferie, la legge stabilisce che, con riferimento al minimo legale (quattro settimane), i datori di lavoro: – durante l’anno di maturazione delle ferie (ogni anno) devono consentire ai dipendenti di fruire di due settimane di ferie, eventualmente in maniera consecutiva se organizzate in tal modo (ad esempio in caso di ferie collettive) o se così richiesto dal/i lavoratore/i; – entro il 30 giugno di ogni anno (in assenza di un termine più lungo fissato dal CCNL) devono consentire la fruizione dell’eventuale arretrato di ferie relative al “minimo legale” maturato nel corso di due anni precedenti. Secondo il ministero del lavoro, la contrattazione collettiva ha facoltà di: – ridurre il limite delle 2 settimane di ferie (ad esempio a una settimana) come periodo minimo da far godere al lavoratore nel corso dell’anno di maturazione, purché tale riduzione non vanifichi la funzione delle ferie (art. 36 Cost.) e sia occasionata da eccezionali esigenze di servizio o, comunque, da esigenze aziendali serie; – prolungare il termine di 18 mesi entro il quale completare la fruizione delle 4 settimane di ferie annuali (ad esempio a 30 mesi). In ogni caso la contrattazione non può rinviare il godimento delle ferie oltre un limite tale per cui la funzione delle stesse ne risulti snaturata. La monetizzazione delle ferie. Arriviamo all’indennità sostitutiva per le ferie non godute. Sul periodo minimo legale di ferie (quattro settimane) vige il divieto assoluto di monetizzazione. Tale periodo, cioè, se non fruito dai lavoratori, non può mai essere sostituito da un’indennità per ferie non godute. Le ferie sostituibili con indennità possono essere, eventualmente: – quelle maturate e non godute fino al 29 aprile 2003 (entrata in vigore del d.lgs n. 66 dell’8 aprile 2003 di riforma della disciplina); – quelle maturate e non godute per un rapporto di lavoro che cessi entro l’anno di riferimento; – quelle previste dalla contrattazione collettiva in misura superiore al minimo legale (quattro settimane). Che natura ha l’indennità sostitutiva? Nella recente ordinanza n. 9009/2024, la Corte di cassazione spiega che l’indennità sostitutiva per le ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale sia perché, “essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo, sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio non ne impedisce la riconoscibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile”. Ciò in quanto costituisce comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro, non essendo ricompresa tra le voci (tassative) delle erogazioni escluse dalla contribuzione. La Corte ricorda l’indirizzo giurisprudenziale che propende per la natura mista dell’indennità sostitutiva per le ferie non godute, ossia avente per un verso carattere risarcitorio (perché idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene rappresentato, tra l’altro, dal riposo con recupero delle energie psicofisiche; dalla possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali; dall’opportunità di svolgere attività ricreative e simili) e per altro verso un carattere di “indubbia natura retributiva” (perché connessa al sinallagma che è caratterizzante di ogni rapporto di lavoro, cioè rappresentando il corrispettivo dell’attività lavorativa). La Corte, tuttavia, conclude ritenendo di principio che l’indennità sostitutiva per le ferie non godute ha natura retributiva e, quindi, va assoggettata a contribuzione. La prescrizione. Il principio sancito dalla Corte di cassazione sembra influire anche sul termine di prescrizione dell’indennità sostitutiva per ferie non godute, sul quale ci sono da sempre pareri contrari. Ad esempio, secondo l’INPS e parte della giurisprudenza che riconoscono all’indennità una natura retributiva, il termine di prescrizione è quinquennale. Secondo un diverso orientamento della giurisprudenza, che ritiene l’indennità avente natura risarcitoria, il termine di prescrizione è invece decennale. Secondo un terzo orientamento della giurisprudenza che dà all’indennità una natura mista (risarcitoria e retributiva) la prescrizione è decennale. In base all’ordinanza n. 9009/2024 il termine di prescrizione è di cinque anni. Il versamento dei contributi. Infine, si ricorda che a partire dal 1999 l’Inps, forte della convenzione Oil n. 132/1970, ha preteso l’anticipo dei contributi sulle ferie rispetto al momento effettivo di fruizione, ossia una volta decorsi 18 mesi dalla loro maturazione (termine ultimo di fruizione). In tal modo, l’Inps operò una netta separazione contabile tra due momenti: quello di fruizione e quello di contribuzione, specie in relazione alle ferie arretrate non godute (circolare n. 186 del 7 ottobre 1999). Questo quadro di disciplina delineato dall’Inps ha trovato conferma nella riforma dell’orario di lavoro del dlgs n. 66/2003 ed è riassunto in tabella. * Articolo integrale pubblicato su Italia Oggi Sette del 22 aprile 2024 (In collaborazione con Mimesi s.r.l.)
Ferie, l’indennità è retributiva
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