considerato che la direttiva 2006/123/CE è stata approvata dalle Istituzioni europee, in seguito a un acceso dibattito che ha portato a una profonda revisione della prima proposta – la cosiddetta “direttiva Bolkestein” – per evitare i paventati rischi di “dumping sociale” e limitando considerevolmente il suo campo di applicazione;
ricordato, in questo senso, che la direttiva 2006/123/CE consente allo Stato membro ospitante di applicare, ai servizi prestati sul proprio territorio da parte di un prestatore stabilito in un altro Stato membro, restrizioni per motivi legati all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza, alla sanità pubblica, alla tutela dell’ambiente, nonché requisiti concernenti le condizioni di lavoro e la sicurezza sociale, e che la stessa direttiva esclude dal proprio campo di applicazione una serie di servizi, tra cui le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri, i servizi di interesse economico generale esercitati in regime di esclusiva, i servizi sociali, i servizi finanziari, i servizi di comunicazione elettronica (a cui si applicano comunque le norme sulla semplificazione amministrativa e sulla tutela degli utenti), i servizi di trasporto, i servizi di somministrazione di lavoratori (lavoro interinale), i servizi sanitari e farmaceutici a scopo terapeutico, i servizi audiovisivi e radiofonici, le attività di gioco d’azzardo, i servizi privati di sicurezza, e i servizi forniti dai notai. La direttiva inoltre esclude dalla libera prestazione di servizi numerosi servizi di interesse economico generale tra cui: servizi postali, energia elettrica, gas, servizi idrici, smaltimento dei rifiuti, attività di recupero crediti, questioni relative al distacco dei lavoratori, al riconoscimento delle qualifiche e al coordinamento dei servizi di sicurezza sociale; ricordato, inoltre, che la direttiva, all’articolo 1, paragrafo 3, espressamente “lascia impregiudicata la libertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi d’interesse economico generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti concessi dagli Stati, e a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti”;
ritenuto che lo schema di decreto legislativo, elaborato dal Governo in seguito a un approfondito ed esteso esame preliminare delle procedure e delle formalità relative alle diverse attività che ricadono nel campo di applicazione della direttiva, svolto dalle pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali, con il contributo delle associazioni di categoria, rechi disposizioni idonee a dare attuazione alla direttiva 2006/123/CE, formula, per quanto di competenza, osservazioni favorevoli con i seguenti rilievi:
1. L’articolo 17 dello schema di decreto legislativo, che disciplina i procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni, reca disposizioni non del tutto coerenti con l’articolo 14 dello stesso schema, in quanto prevede che il procedimento autorizzatorio, che normalmente è quello della DIA a efficacia differita, ovvero quello del silenzio-assenso (comma 1), possa anche richiedere l’adozione di un provvedimento espresso “qualora sussista un motivo imperativo di interesse generale” (comma 2), lasciando così ad intendere che per la Dia e il silenzio assenso tale motivo di interesse generale non debba sussistere, mentre l’articolo 14 chiaramente dispone che tale giustificazione debba sussistere per tutti i regimi autorizzatori, così come previsto dall’articolo 9 della direttiva;
2. L’articolo 21 dello schema di decreto legislativo individua al comma 1 quei requisiti la cui previsione, da parte della disciplina della libera prestazione dei servizi, è da considerarsi del tutto vietata, in attuazione del paragrafo 2 dell’articolo 16 della direttiva. Tuttavia, il successivo comma 3 ne prevede la possibilità di deroga, in caso di motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica o tutela dell’ambiente. Tale deroga non è prevista dalla direttiva e risulta pertanto incompatibile con la normativa europea. Il paragrafo 3 dell’articolo 16 della direttiva, infatti, si riferisce ai requisiti relativi alla prestazione stessa, che sono del tutto diversi dai “pre-requisiti” relativi alla libera circolazione e quindi all’accesso al mercato dei servizi, previsti dai paragrafi 1 e 2 dello stesso articolo 16. Per questi motivi si ritiene necessario riformulare la deroga di cui al comma 2 dell’articolo 21 in modo più aderente al predetto articolo 16, paragrafo 3, della direttiva.
3. In relazione ai criteri di delega contenuti nell’articolo 41 della legge comunitaria 2008, lo schema di decreto legislativo non reca misure dirette ad eseguire il criterio di cui alla lettera b), ovvero quello di “promuovere l’elaborazione di codici di condotta e disciplinari, finalizzati, in particolare, a promuovere la qualità dei servizi, tenendo conto delle loro caratteristiche specifiche”. Tale criterio risponde, inoltre, a un preciso obbligo comunitario contenuto nell’articolo 37 della direttiva, in base al quale “gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, adottano misure di accompagnamento volte a incoraggiare l’elaborazione di codici di condotta a livello comunitario, specialmente da parte di ordini, organismi o associazioni professionali, intesi ad agevolare la prestazione transfrontaliera di servizi o lo stabilimento di un prestatore in un altro Stato membro, nel rispetto del diritto comunitario”, e “provvedono affinché i codici di condotta di cui al paragrafo 1 siano accessibili a distanza, per via elettronica”. Si ritiene pertanto necessario l’inserimento di apposite disposizioni attuative dei predetti obblighi, anche al fine di evitare il rischio dell’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
4. In relazione ai criteri di delega contenuti nell’articolo 41 della legge comunitaria 2008, la lettera e) del comma 1, prescrive che il decreto legislativo rechi anche un elenco di tutti i servizi sottoposti ad autorizzazione, che tuttavia non risulta allegato allo schema di decreto legislativo. Si ritiene pertanto opportuno che tale elenco sia elaborato e allegato allo schema di decreto legislativo.
5. In relazione all’articolo 71 dello schema di decreto legislativo, concernente il sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica, valutino le Commissioni di merito l’opportunità – segnalata anche dall’indagine conoscitiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 23 settembre 2009 – di esplicitare il principio di identità delle condizioni economiche praticate dagli editori ai rivenditori, di cui all’articolo 5, lettera b), del decreto legislativo n. 170 del 2001, in base al quale “le condizioni economiche e le modalità commerciali di cessione delle pubblicazioni, comprensive di ogni forma di compenso riconosciuta ai rivenditori, devono essere identiche per le diverse tipologie di esercizi, esclusivi e non esclusivi, che effettuano la vendita”, con un espresso riferimento alla possibilità di differenziare i margini di remunerazione dei rivenditori, sulla base di parametri oggettivi che tengano conto: del livello di specializzazione del rivenditore; della qualità del servizio offerto dal rivenditore; della possibilità per il distributore locale di applicare al rivenditore un corrispettivo per il trasporto (carriage service charge), variabile a seconda del volume di giornali acquistati dal punto vendita; della possibilità di stabilire un fatturato minimo del rivenditore sul quale il distributore si impegni a rifornire il punto vendita.
Fonte: www.senato.it
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