di GIOVANNI NEGRI (dal Sole 24 Ore) Il nuovo codice degli appalti neutralizza l’abuso d’ufficio. Avendo elevato a 140mila euro la soglia per affidamento diretto dell’appalto di servizi rende di conseguenza irrilevanti sul piano penale condotte che in precedenza potevano essere sanzionate a titolo di abuso d’ufficio. E, trattandosi, di una novità più favorevole per gli imputati ha anche effetto retroattivo su tutti i procedimenti in corso. Lo ha deciso la Cassazione con la sentenza 16659 della sesta sezione penale depositata ieri. Annullata quindi, e senza rinvio, la condanna inflitta dalla Corte d’appello nei confronti dell’amministratore unico di una Asl pugliese che aveva siglato un contratto di consulenza legale con un professionista senza avviare una procedura a evidenza pubblica. La sentenza innanzitutto qualifica il contratto in questione come appalto di servizi, rispetto al quale la rilevanza penale è oggi circoscritta dal nuovo codice degli appalti che, all’articolo 50, ha cristalizzato a regime quanto in precedenza era stato stabilito solo in via provvisoria. Infatti già il decreto legge 76 del 2020, in piena stagione pandemica, aveva consentito l’affidamento diretto per i servizi e le forniture entro il tetto di 139mila euro. Si trattava però di una misura, per espressa previsione normativa, emergenziale e temporanea, legata alla gestione del fenomeno Covid e alle sue ricadute sul sistema economico. Ora però il codice, decreto legislativo 36 del 2023, ha reso stabile quanto in precedenza provvisorio portando la soglia per l’affidamento diretto a 140mila euro, lasciando alle amministrazioni pubbliche la facoltà di ricorrere alle procedure aperte o ristrette, per testare il mercato e attivare forme di concorrenza. Nel caso approdato in Cassazione il valore complessivo dell’appalto di servizi concluso con l’avvocato ammontava a 112mila euro, un valore oggi sotto soglia. La Corte si è così soffermata per chiarire l’impatto sul giudizio penale di una modifica così significativa della norma extrapenale richiamata dal Codice penale. Questione non sempre di facile soluzione, visto che la sentenza ricorda la «oggettiva difficoltà» di distinguere le norme extrapenali integratrici da quelle che incidono solo su presupposti di fatto senza però un riverbero significativo sul disvalore del fatto. Spetta così al giudice il compito delicato di verificare, anche considerando i beni tutelati, se l’elemento normativo interessato dal cambiamento legislativo riveste, nell’economia della fattispecie penale nel quale è inserito , un ruolo tale per cui la sua cancellazione si riflette sulla stessa offensività del reato. E allora l’articolo 323 del codice, che sanziona tuttora la condotta di abuso d’ufficio (alla Camera è ancora in discussione il disegno di legge che ne prevede la soppressione) va ritenuto norma “in bianco”, dove la condotta penalmente rilevante può essere identificata solo con riferimento alla violazioni di legge che disciplinano il comparto della pubblica amministrazione , tanto che la legge extrapenale finisce di riempire di senso la misura penale. «Ne consegue – sottolinea la Cassazione – che la modificazione della legge la cui violazione è richiesta dal tipo legale dell’abuso d’ufficio reagisce immediatamente sul giudizio di disvalore espresso mediante la posizione della fattispecie nella vicenda concreta, facendolo venire meno». Per la Corte quindi il proscioglimento è inevitabile come pure l’applicazione della formula «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato». * Articolo integrale pubblicato su Il Sole 24 Ore del 20 aprile 2024 (In collaborazione con Mimesi s.r.l.)
Il nuovo codice appalti taglia l’abuso d’ufficio
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