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(1) I.- Con la sentenza 1/5/2017, n. 108 la Consulta ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tar di Lecce (cfr. sez. I, ordinanza 22 luglio 2015 n. 2529) stabilendo che la Regione non ha invaso la competenza dello Stato.
In primo luogo, con riferimento alla presunta violazione della legislazione esclusiva in tema di ordine pubblico e sicurezza, la Corte, ribaltando l’impostazione posta a base dell’ordinanza di rimessione, ha assodato che il legislatore regionale non è intervenuto per contrastare il gioco illegale, né per disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e nemmeno per individuare i giochi leciti, avendo, invece, perseguito in via preminente finalità di carattere socio-sanitario, come tali estranee alla materia dell’ordine pubblico.
In secondo luogo, con riferimento alla dedotta violazione dei principi fondamentali posti dallo Stato nella materia di competenza concorrente della «tutela della salute», la Corte, dopo aver richiamato il diritto vivente in punto di legittimità degli interventi di contrasto della ludopatia basati sul rispetto di distanze minime dai luoghi “sensibili” senza la necessità della previa definizione della relativa pianificazione a livello nazionale, ha escluso la violazione anche di questo parametro.
II.- In materia di sale da gioco e di distanze da luoghi sensibili, anche con riferimento alla liberalizzazione delle attività commerciali, si segnala:
a) Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2014, n. 3271, secondo cui: “In tema di apertura degli esercizi commerciali, l’art. 50 t.u. 18 agosto 2000 n. 267 non attribuisce all’amministrazione comunale il potere di individuare o disciplinare gli orari senza vincoli di sorta; tuttavia, l’amministrazione comunale non può astenersi dal dimostrare l’esistenza concreta di fenomeni pregiudizievoli per la collettività (ad esempio, evasione scolastica, blocchi della circolazione o turbamenti della quiete pubblica)”;
b) Corte cost., 18 luglio 2014 n. 220 (in Giur. costit., 2014, 3503) e 31 marzo 2015 n. 56 (id., 2015, 2, 488 con nota CHIEPPA), che proprio in tema di rapporti di concessione di servizio pubblico, ha riconosciuto connaturata al rapporto medesimo la possibilità di un intervento pubblico modificativo delle condizioni originarie “ancor più, allorché si verta in un ambito così delicato come quello dei giochi pubblici, nel quale i valori e gli interessi coinvolti appaiono meritevoli di speciale e continua attenzione da parte del legislatore. Proprio in ragione dell’esigenza di garantire un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato e di padroneggiare i rischi connessi a questo settore, la giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all’attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purché ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali sono certamente quelli evocati dall’art. 1, comma 77, della legge n. 220 del 2010 (contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia; tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d’età; lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore), e a condizione che esse siano proporzionate (sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08)”;
c) Tar per la Liguria, sez. I, 19 novembre 2016, n. 1143 secondo cui: “la normativa regionale che consente di estendere l’elenco dei luoghi sensibili in tema di distanze minime dalle sale gioco va intesa in conformità ai principi di proporzionalità e trasparenza, con conseguente onere di istruttoria e di motivazione delle relative scelte”;
d) Tar per il Piemonte, sez. II, ordinanza 24 aprile 2013, n. 528, in Foro it., 2013, III, 492, con nota di PALMIERI cui si rinvia per ogni ulteriore riferimento di dottrina e giurisprudenza, secondo cui: “Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 42 e 50, 7º comma, d.leg. 18 agosto 2000 n. 267, nella parte in cui determinano una situazione di assenza di principî normativi a contrasto della patologia ormai riconosciuta della «ludopatia» ed escludono la competenza dei comuni ad adottare atti normativi e provvedimentali volti a limitare l’uso degli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, 6º comma, r.d. 18 giugno 1931 n. 773 in ogni esercizio a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 86 dello stesso testo di legge, in riferimento agli art. 32 e 118 cost.”);
III.- La giurisprudenza della Corte di giustizia UE, con riferimento a diversi limiti introdotti dal legislatore nazionale, ha riconosciuto che gli obiettivi attinenti, da un lato, alla riduzione delle occasioni di gioco e, dall’altro, alla lotta contro la criminalità mediante l’assoggettamento a controllo degli operatori attivi in tale settore e l’incanalamento delle attività di gioco d’azzardo entro circuiti legali, rientrano tra quelli riconosciuti come idonei a giustificare restrizioni alle libertà fondamentali nel settore dei giochi d’azzardo (cfr. sentenza 6 marzo 2007, C- 338, 359, 360/04, Placanica, punti 46 e 52, in Foro it., 2007, IV, 249, con nota di PALMIERI; successivamente sez. IV, 16 febbraio 2012, C-72 e77/19, Costa e Cifone, id., 2013, IV, 240, con nota di LEOTTA, cui si rinvia per ogni ulteriore riferimento di dottrina e giurisprudenza).
Per quanto riguarda in specie il primo di questi obiettivi, il settore dei giochi d’azzardo in Italia è stato per lungo tempo caratterizzato da una politica di espansione finalizzata ad aumentare gli introiti fiscali e dunque, in tale contesto, non è possibile invocare alcuna giustificazione fondata sugli obiettivi della limitazione della propensione al gioco dei consumatori o della limitazione dell’offerta di giochi.
Per quanto riguarda poi il secondo degli obiettivi invocati, risulta da una giurisprudenza consolidata che le restrizioni imposte dagli Stati membri devono soddisfare il principio di proporzionalità, e che una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato soltanto se i mezzi impiegati sono coerenti e sistematici.
In tale contesto, le norme sulle distanze minime sono state imposte unicamente ai nuovi concessionari, ad esclusione di quelli già insediati. Pertanto anche se un regime di distanze minime tra punti di vendita potrebbe essere di per sé giustificato, non si può ammettere che simili restrizioni vengano applicate in circostanze in cui esse penalizzerebbero unicamente i nuovi concessionari che fanno ingresso sul mercato (cfr. in materia di proporzionalità delle limitazioni alla libertà di impresa, Corte giustizia CE, 13 dicembre 2007, n. 250/06, United Pan-Europe, in Foro it., 2009, IV, 49, secondo cui: “Una normativa nazionale può imporre agli operatori via cavo di diffondere i programmi televisivi trasmessi dagli organismi designati dalle autorità statali quando persegue un interesse generale e non è sproporzionata rispetto all’obiettivo”).
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