Questo articolo stabiliva che “Nei casi di SCIA relativa ad interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f) e di cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e), decorso il termine di trenta giorni di cui all’articolo 84, comma 6, possono essere adottati provvedimenti inibitori e sanzionatori qualora ricorra uno dei seguenti casi:
a) in caso di falsità o mendacia delle asseverazioni, certificazioni, dichiarazioni sostitutive di certificazioni o degli atti di notorietà allegati alla SCIA medesima;
b) in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi;
c) qualora dall’esecuzione dell’intervento consegua pericolo di danno per il patrimonio storico-artistico, culturale e paesaggistico, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.”.
Questa norma è stata ritenuta affetta da illegittimità costituzionale in quanto consentirebbe all’Amministrazione di esercitare poteri sanzionatori per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, in un numero di ipotesi più ampio rispetto a quello previsto dai commi 3 e 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990. Di fatto, la normativa regionale, nell’attribuire all’Amministrazione un potere di intervento, lungi dall’adottare una disciplina di dettaglio, ha introdotto una normativa sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale.
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