TAR Piemonte, sez. II – Sentenza 28 febbraio 2013, n. 276
1. Il sistema di c.d. “liberalizzazione” delle attività economiche private – quale delineato dall’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011 (nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 4-ter, del d.l. n. 1 del 2012, convertito in legge n. 27 del 2012) – non può non ritenersi già vigente ed operativo, nonostante (l’eventuale) mancato adeguamento degli ordinamenti regionali e locali, adeguamento che la legge nazionale prescriveva dovesse intervenire entro il 30 settembre 2012 (art. 31, comma 2, ultimo periodo, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011); ciò, del resto, in linea con l’indirizzo interpretativo fatto proprio anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 299 del 2012), secondo la quale la norma in esame, “per la sua formulazione e per il suo contenuto, non necessita di alcuna attuazione”, con la conseguenza che l’invocata (in quel giudizio) intesa tra Stato e Regioni “non avrebbe un oggetto su cui intervenire”. Non può quindi ammettersi né (per un verso) un rinvio sine die dell’effettività delle liberalizzazioni, retrocesse a mera latenza di sistema, in palese contrasto con gli intendimenti della decretazione d’urgenza; né (per altro verso) un’operatività solo parziale delle nuove regole che cagionino una incondizionata prevalenza del principio di liberalizzazione a discapito delle altre istanze costituzionalmente rilevanti (solo perché non si è ancora avuto l’adeguamento degli ordinamenti regionali e locali), circostanza che revocherebbe in dubbio la costituzionalità della novella in quanto produrrebbe un ingiustificato sbilanciamento tra valori di pari rango; va ricordato che, secondo la citata sentenza n. 299 del 2012 della Corte costituzionale, ritenere che la norma in esame “non consenta eccezioni per motivi imperativi di interesse generale” costituisce un “erroneo presupposto interpretativo” che non tiene conto della necessità di tutelare altri interessi costituzionalmente rilevanti. Ne consegue che, in base alla legge, rientra già da subito nel potere/dovere delle amministrazioni competenti il compimento di tutte le verifiche volte ad evitare sbilanciamenti a favore di alcune, piuttosto che di altre, categorie di valori primari, mediante un’azione tesa a effettuare un’opera di contemperamento dei vari diritti e interessi in gioco componendo i relativi conflitti; azione che, evidentemente deve accompagnarsi con l’estrinsecazione dell’istruttoria eseguita e delle ragioni che hanno portato al bilanciamento operato (cfr., in tal senso, TAR Puglia, Lecce, sez. I, n. 1830 del 2012).
2. La decisione del privato di iniziare una nuova attività economica non può trovare ostacolo in un atto dell’amministrazione che non rilasci il necessario assenso, a meno che il diniego dell’autorità sia adeguatamente – e rigorosamente – motivato con riguardo alla ricorrenza di uno di quei limiti indicati dalla legge, i quali necessariamente ritraggono il proprio fondamento in interessi di rango costituzionale (cfr. Corte cost., n. 200 del 2012). La motivazione del diniego, in particolare, dovrà mostrarsi “ragionevolmente proporzionata” rispetto alle indicate finalità di interesse pubblico generale, così come richiesto dall’art. 1, comma 2, del d.l. n. 1 del 2012, convertito in legge n. 27 del 2012. Nel caso di una domanda di apertura (come nella specie) di una nuova attività commerciale, pertanto, l’amministrazione deve compiere un’esauriente istruttoria volta a verificare se risulti davvero compromessa, nel caso specifico, qualcuna di quelle finalità ed, in caso positivo, deve esaurientemente giustificare l’applicazione “ragionevolmente proporzionata” dell’eccezione (il divieto di nuova apertura) a fronte dell’opposta regola generale (la libertà di nuova apertura).
3. È illegittimo il provvedimento con il quale il Comune ha respinto la domanda concernente l’apertura di un esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sulla base della precedente decisione comunale che aveva disposto il divieto di apertura di nuovi esercizi pubblici in determinate arre della città; ciò, peraltro, richiamando bensì gli “interessi generali di particolare rilevanza, quali l’ambiente urbano e la salute”, di cui al sopravvenuto art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011, ma senza specificare, in concreto, quali indagini istruttorie fossero state compiute al fine di accertare la compromissione di tali istanze causalmente collegata all’apertura del nuovo esercizio commerciale, e senza indicare – soprattutto – in che modo tali istanze potessero risultare compromesse da un eventuale provvedimento di assenso.
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