TAR LOMBARDIA-BRESCIA, SEZ. I – Sentenza 9 dicembre 2013, n. 1102
È illegittima – per violazione del principio di proporzionalità – l’ordinanza che vieta, nel centro storico, “la consumazione di alimenti, cibi precotti o pasti preparati e frutta, eccetto gelati e granite”; il principio di proporzionalità discende dall’ordinamento europeo, e implica, secondo l’enunciazione paradigmatica contenuta nella sentenza Corte Ue 22.2.2002, C-390/99 Canal Satelite, che l’intervento pubblico debba essere in grado di assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira e non andar oltre quanto necessario a raggiungerlo. Con formulazioni sostanzialmente identiche, la giurisprudenza nazionale, per tutte C.d.S. sez. V 14 aprile 2006 n°2087, ma conforme, ad esempio, è anche TAR Lazio, Roma, 12.7.2006, n. 10485, afferma poi che il principio di proporzionalità e adeguatezza “obbliga la pubblica amministrazione ad adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti. Nel caso concreto, l’adeguatezza della misura non sussiste, in primo luogo a livello di interessi coinvolti. A fronte dell’interesse imprenditoriale alla sopravvivenza della propria impresa, anche in termini di redditività positiva, che ha tutela costituzionale ed europea, è posto infatti un interesse non ben definito, che per solito si identifica col decoro urbano, ed è oltretutto difficile identificare con quello della maggioranza dei consociati. Si noti poi che tale interesse attiene praticamente soltanto a profili estetici, ed è diverso da quello volto ad evitare l’imbrattamento dei luoghi, già presidiato da norme speciali. In termini di decoro urbano, allora, la semplice vista di persone le quali consumino in luogo pubblico alimenti – oltretutto, solo se diversi da gelati e granite – può ben essere intesa, secondo un giudizio in sé del tutto rispettabile, come turbativa del gusto estetico, anche dato per scontato che non si traduca in abbandono dei rifiuti relativi, ma non pare che tale giudizio sia universalmente condiviso, in modo da giustificare un intervento radicalmente proibitivo, rivolto sia ai consumatori, col divieto di consumo, sia ai legittimi rivenditori con l’imposizione di modalità speciali di vendita non richieste dall’igiene.
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